Come essere se stessi fuori dalla rete

di Giuditta Formentini

Negli ultimi dieci anni, i social network hanno assunto un ruolo predominante nella nostra
società, trasformando radicalmente il modo in cui comunichiamo. In un mondo pieno di
brutture (forse, è quello che ci fanno credere), si è sempre più bombardati da standard,
mode, “fake news” e terrore. Pertanto, di noi, del nostro mondo interiore, non rimane più
nulla.

Il nostro oggi è il riflesso di una dittatura dei social media, e i giovani ne sono i più
colpiti. Quante volte si vedono in giro ragazzi vestiti tutti con le stesse scarpe o con gli stessi
tagli, alla ricerca di un gruppo, per non essere più soli. Mostrarsi vulnerabili o,
semplicemente, sé stessi, è diventato un lusso e la solitudine il male assoluto: piuttosto che
trascorrere un momento da soli, preferiamo farci del male, soffocarci nella superficialità e
nel conformismo e spegnere la lampadina. Si tace davanti ai più grandi scempi e si diventa
cattivi.

Il male di vivere e le nostre fragilità ci hanno portato a cercare non compagnia e amicizie,
ma l’approvazione sui social. É una continua gara per raggiungere una vetta “virtuale”,
assolutamente futile, e tuttavia, di importanza cruciale: si vive all’ordine del “Digito ergo sum”.
Esisto solo se ho Instagram, se seguo le mode e solo se faccio gruppo sul negativo. Si
parla tanto di inclusione e di gentilezza, ma la realtà è ben più complessa. Quando si tratta
di agire concretamente, ognuno di noi, staticamente, si vittimizza e si chiude.

Non si vota più e si pensa solo con la pancia. Si vota chi fa la battuta migliore o chi fa più
scena: questo é il paradiso degli analfabeti funzionali. Non é colpa loro, é colpa della
dittatura sanitaria o delle piogge acide. Gli analfabeti funzionali non sono più capaci di
leggere un articolo e coglierne il significato; fermandosi a un piano prettamente superficiale,
subiscono inconsciamente il monopolio dei social media. I social, pertanto, sono strumenti di
massa: se potevano servire a diffondere informazioni, attualmente ci stanno trasformando in
prosciugatori di emozioni, in “sensation seeker”. Gli analfabeti funzionali colgono pertanto,
l’occasione di spegnere la mente e ricercano le emozioni più forti possibili per trarre
qualcosa dalla vita, che appare noiosa e senza senso. Di conseguenza, non si parla più e
non si trasmettono più i valori importanti.

In preda all’incomprensione e alla fragilità del tempo, i giovani e gli adulti non sanno più come muoversi, trasformano la realtà, proiettano problemi e, quando si rendono conto di compiere un errore, allora, tutto il loro mondo fatato crolla su se stesso.

Io, in quanto ragazzina sedicenne, sento fortissime le pressioni sociali e gli standard che dovrei seguire. Odio che mi vengano imposte regole e atteggiamenti, solo per i like sui social. Io voglio essere quella che sono, anzi è un mio diritto. Ed è un mio diritto non venire giudicata per come mi presento, per come mi vesto o, semplicemente, per come sono fatta. Ciò vale per tutti, giovani e adulti: essere sé stessi è solo un altro passo per raggiungere una certa consapevolezza personale, per non credere più a ogni cosa
che passa e riprendendo vecchi principi, tra i quali il dialogo, il confronto e la solidarietà.

Come fare, quindi, per rimanere sé stessi? Innanzitutto, è necessario allontanare i pregiudizi
e occuparci di una nostra ricerca interiore di valori e desideri nella vita. Poi, cerchiamo di
essere gentili. Ciò significa non subire, ma essere aperti all’altro e al mondo: così cambierà il
nostro modo di pensare il futuro e, anche, di superare tutta la bruttura e la paura, a cui
siamo soggetti tutti i giorni. Solo così riusciremo a vedere ciò che ci accade di bello
quotidianamente e a essere, finalmente, felici.

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