Non si placa, nonostante le polemiche e le strumentalizzazioni politiche e mediatiche, il fascino delle ex Officine Meccaniche Reggiane: un luogo di lavoro da diversi decenni abbandonato al triste ricordo di un’epoca gloriosa per la nostra città e per il quartiere di Via Adua.
Fin da piccole siamo sempre state affascinate da questo luogo abbandonato nel nostro quartiere di cui non si sapeva ormai più niente.
Ci siamo sempre domandate che cosa si nascondesse dietro quelle mura piene di graffiti,se ci fosse qualcosa di più e quali messaggi gli artisti che da tutta Europa si recavano per rappresentare ci volessero mandare abbiamo quindi deciso di avventurarci e portare a casa con noi un briciolo di quella storia e dei colori che abbelliscono e rendono vive quelle mura.
Le Reggiane, come le chiamano in città, fondate nel 1904 come “Officine Meccaniche Reggiane” era un’azienda italiana nata all’inizio del Novecento per la produzione di materiale ferroviario e divenuta famosa sul finire degli anni trenta, riconvertita per la produzione di aerei militari. Dal 1936 prosegue lo sviluppo aeronautico che rende l’azienda famosa anche al di fuori dell’Italia; avvengono poi fenomeni che fanno decollare il successo dell’azienda specialmente nel primo e secondo dopoguerra.
Proprio in quegli anni avvenne la triste tragedia del 23 luglio 1943, ricordata dalla storia come “l’eccidio delle reggiane”: nove operai vennero uccisi, fra i quali vi era anche una donna incinta, perché avevano dato vita, contro le disposizioni ferree che vietavano ogni forma di protesta firmate da Badoglio, a una manifestazione per chiedere la fine della guerra.
Antonio Artioli, Vincenzo Bellocchi, Eugenio Fava, Nello Ferretti, Armando Grisendi, Gino Menozzi, Osvaldo Notari, Domenica Secchi e Angelo Tanzi sono i nomi di coloro che persero la vota in quel tragico episodio della follia umana.
Per tornare all’incipit inziale del nostro articolo, ci chiediamo oggi come si sono trasformate le Reggiane, o meglio l’enorme area delle Reggiane; da molti forse troppi anni l’area è spesso teatro di un degrado fuori controllo e terreno in mano alla microcriminalità, dove i senzatetto vivono di miseria e povertà. Allo stesso tempo è anche vero che l’amministrazione comunale di Reggio si è spesa tanto per ripristinare l’ordine e la legalità in quei luoghi e per dare un aiuto concreto alle persone che lì vi hanno trovato rifugio. E visto che stiamo parlando di persone, crediamo che sia importante evitare inutili strumentalizzazioni. Ma è anche vero che il Comune ha realizzato spazi di ricerca per l’Università di Modena e Reggio Emilia, e sta lavorando alacremente per portare a compimento un progetto di rigenerazione urbana per la trasformazione delle storiche Officine Meccaniche Reggiane in un polo dell’innovazione, al servizio delle imprese e della ricerca.
Lo stato di abbandonamento delle ex Reggiane durerà quindi ancora per poco, visto che in quanto quel luogo che a noi appariva magico e misterioso, si sta trasformando in un polo per l’innovazione tecnologica che comprenderà una ventina di capannoni che con il tempo si saranno trasformati in luoghi in cui si cela mistero e storia e che poi sono divenuti un luogo di espressione artistica.
Ad oggi, alcuni artisti locali ma anche altri provenienti da diverse parti d’Italia, hanno dato vita al più grande laboratorio di street-art all’aperto di Europa; creatività, espressività, denuncia sociale sono racchiusi in tutte le immagini in esso contenuto.
foto e testi di Laila Sawadogo e Mariam Cisse